ENRON RIVISITATO (I): “CI SIAMO NOI, DA UN LATO… E POI TUTTI GLI ALTRI…”
(di Paul Jorion, pubblicato il 2 gennaio 2013, l’originale francese è qui)
Essendo in procinto di dedicare a ció una delle lezioni della cattedra “Stewardship of Finance”, mi sono tuffato di nuovo nella letteratura relativa alla caduta della compagnia americana Enron nell’autunno 2001. Fra i testi che ho riletto c’è il libro che avevo dedicato io stesso a questo caso, Investing in a Post-Enron World (McGraw-Hill 2003); e con un interesse ancor più particolare, ci sono i due capitoli che non erano stati integrati al libro a causa della loro tecnicità giudicata eccessiva dall’editore: uno relativo all’uso, da parte del venditore texano d’energia, di prodotti finanzieri derivati; l’altro che portava sui numerosi S.P.V. (Special Purpose Vehicles) che aveva creato al fine di mettere fuori bilancio, e dunque relativamente al riparo rispetto allo sguardo indiscreto dei suoi azionari, alcuni dei suoi debiti più inquietanti.
Rivisitando Enron, speravo che mi apparirebbero un certo numero di elementi nei quali potrei riconoscere i prodromi dell’attuale crisi. A questo riguardo sono rimasto un po’ deluso, visto che una legge, la Sarbanes-Oxley Act, fu promulgata nel 2002 al fine di proibire un certo numero di pratiche venute alla luce in occasione del caso Enron, e questa legge da allora riempe il suo compito con soddisfazione generale (le ditte americane emisero ben inteso grida di gente scuoiata viva, ma cosa ci si poteva aspettare d’altro da parte loro?). L’esigenza la più simbolica di questo corpo di legge fu l’obbligo fatto al P-DG (Presidente-Direttore-Generale) di ogni impresa americana di impegnare la propria responsabilità personale a pubblicare i bilanci trimestrali ed annuali della propria firma. L’obbiettivo era di bloccare una volta per tutte la strategia che aveva utilizzato Jeff Skilling – che era stato P-DG di Enron poco tempo prima della sua caduta – e cioè, il ripetere instancabilmente, sia nelle audizioni parlamentari che portavano su questo caso che nel processo che gli fu intentato in seguito a titolo personale: “Cosa ne so io? Io non sono un contabile!”, rigettando in tal modo l’intera responsabilità della caduta della sua compagnia sulla ditta incaricata di farne un audit: la ditta Arthur Andersen, che effettivamente fu spazzata via dalle ricadute di questa faccenda e sparì per sempre.
Ma allora cosa fu a provocare il crollo di Enron, che solo sei mesi prima del suo fallimento si vantava di essere per grandezza la 7-ima impresa degli Stati Uniti? Fu innanzitutto il fatto che, tanto per cominciare, non era in realtà la 7-ima, ma la 287-esima, come ció fu messo in evidenza da Robert McCullough, per l’appunto un vecchio partner in affari di Arthur Andersen, quando scoprì che il rango lusinghiero di 7-imo le era stato attribuito in base a calcoli dubbi fondati sul valore “nozionale” di alcuni prodotti derivati nel suo portafoglio, piuttosto che sul loro guadagno probabile che, nel caso dei prodotti derivati, in generale non rappresenta che una frazione dell’ammontare del nozionale. La compagnia Enron era dunque, in realtà, molto meno importante di quanto ci si immaginasse alla vigilia del suo crollo.
Come era stato possibile un tale errore di valutazione? Essenzialmente in virtù del fatto che, a causa della loro complessità, la comprensione del funzionamento dei prodotti derivati è, nella maggioranza dei casi, molto approssimativa, e ció perfino negli ambienti finanziari. Mi è capitato, per esempio, di udire in una riunione alla Commissione Europea uno dei principali economisti dell’OECD (la “Organisation for Economic Co-operation and Development”) compiere lo stesso errore proprio nel bel mentre della sua relazione, e di sostenerlo… con l’appoggio di grafici!
Ció significa forse che l’errore di Enron era stato commesso in buona fede? Non ci metterei la mano sul fuoco: le compagnie di questo tipo reclutano un personale molto competente, e ci sono senz’altro stati alcuni fra di loro che si sono detti che, visto che quelli che ci si raccapezzano sono molto pochi, probabilmente nessuno si accorgerebbe di nulla. Cosa che i fatti hanno, in effetti, confermato.
E dicendo ció ci avviciniamo già un po’ di più ad una vera e propria spiegazione del caso Enron: che è quello di ditte che, come Enron, si ritrovano a pensare che il mondo intero – con l’eccezione dei propri dirigenti (e di quelli di alcune delle loro ditte sorelle, suscettibili anche loro di impiegarli) – è costituito essenzialmente d’imbecilli; è quello di ditte che si comportano conformemente a ció, e che, tranne rari casi come per l’appunto la caduta di Enron (o come quella di Bernard Madoff, o come in alcuni altri esempi), vedono ad ogni momento confermata la plausibilità della loro ipotesi.
(tradotto dal francese da Alessio Moretti)
Moi: Comment comprendre de sens de « form » dans l’article « Exact Quantum Electrodynamics of Radiative Photonic Environments »? Claude: Je vois que…