(di François Leclerc, 22 ottobre 2012, l’originale in francese è qui)
La valutazione, da parte di fior fiore di economisti, di un semplice coefficente sta cominciando a fare un gran rumore di piazza! Si parla del livello del modificatore di bilancio, che serve a determinare l’incidenza sul PIL (prodotto interno lordo) di una modificazione del bilancio. Se si vuole restare semplici: per una stessa diminuzione del bilancio dello Stato, più questo coefficiente è elevato, più il PIL si abbassa. La discussione non è accademica e sta generando un po’ di emozione in cerchie peraltro ancora troppo ristrette, visto che questo indice permette di misurare nientedimeno che l’effetto, sulla crescita economica, delle politiche di riduzione del bilancio.
Ad accendere le miccie è stato un articolo scritto da Olivier Blanchard e Daniel Leigh, dell’FMI (Fondo Monetario Internazionale), poiché quest’articolo ha messo in evidenza che il moltiplicatore di bilancio è nettamente più elevato di ció che era stato previsto. E che la sua estrapolazione alle economie occidentali, non solo della zona euro, ma anche degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, dimostra che la politica di austerity ha, sulla crescita, un impatto negativo più forte del previsto. Di conseguenza, proseguire una tale politica potrebbe rivelarsi difficile nei prossimi anni, a causa dell’effetto dei tagli di bilancio, che per di più sono ostacolati dal calo delle entrate fiscali che risultano dal rallentamento dell’attività economica e dalla crescita della disoccupazione, che implica a sua volta un aumento delle prestazioni sociali.
Riassumendo: il coefficiente di cui parliamo si pensava fosse dello 0,5 (il che significava che una restrizione finanziaria equivalente ad un punto del PIL aveva un impatto negativo sul prodotto interno lordo di soli 0,5 punti), ma ora si scopre che l’impatto potrebbe benissimo oscillare all’interno di uno spettro compreso fra lo 0,9 e l’1,7, il che non è affatto la stessa cosa! In effetti, ne risulterebbe una recessione generalizzata, se la politica attuale venisse continuata, che potrebbe rendere ancora più problematica la riduzione dei deficit pubblici, a meno d’imporre allora un’austerity di quelle che, peró, non si è proprio sicuri sicuri che verranno accettate… La scelta sarebbe dunque fra il ridurre di meno il deficit… o il tentare meno di ridurlo!
Ció che si osserva in questi ultimi tempi, non soltanto nei paesi del sud dell’Europa, ma anche in Gran Bretagna, sembra confermare questo pronostico pessimista. Per di più, le ripercussioni di un processo di questo tipo sono immense in un’economia mondializzata. Lo si osserva di già nei paesi emergenti, oppure in Giappone, e in maniera generale in tutti quei paesi la cui crescita si basa sulle esportazioni. L’effetto palla di neve è garantito, è l’altro lato della medaglia.
Beninteso, la valutazione del moltiplicatore di bilancio non procede dalla scienza esatta. Ma, in questi ultimi tempi, nelle università americane si sono moltiplicati degli interventi su questo tema, come Gavyn Davies li elenca in un articolo del Financial Times: soprattutto quelli di Lawrence Summers (Harvard) e Bradford DeLong (Berkeley) o quello di Alan J. Auerbach e Yuriy Gorodnichenko (Berkeley). E convergono, anche se i primi giungono ad un coefficiente di 1 mentre i secondi lo fissano approssimativamente fra l’1,5 e il 2 per i periodi di recessione. Il dibattito resta aperto, ma sembra confermarsi che il coefficiente dello 0,5 su cui si appoggia, come sulla punta di uno spillo, la politica attuale di sdebitamento è decisamente sottovalutato.
Se gli economisti benpensanti ci si mettono pure loro, allora sono proprio spacciati!
(tradotto dal francese da Alessio Moretti)
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